È vero: “giochi astratti con forte ambientazione” è un ossimoro, se non direttamente un controsenso, ma come vedremo i giochi da tavolo moderni – un po’ più moderni anche di Forza 4, intendiamo – ballano spesso sul confine tra generi, e i giochi che andiamo a vedere in questo articolo si fanno “scusare” del loro non essere perfettamente classificabili grazie alla loro qualità… con buona pace dei puristi di scacchi, dama, filetto (o tria), tris, go, o addirittura gli antichi senet o UR.
Mettiamoci d’accordo sulla definizione di “gioco da tavolo astratto”
Tanto per intenderci, vediamo prima una definizione di “gioco astratto”, ricavata da Boardgamegeek, Wikipedia e alcuni testi specifici, come “Che cos’è un gioco da tavolo” di Andrea Angiolino, o l’ancor più esaustivo “Dizionario dei giochi” scritto con Beniamino Sidoti.
In un gioco da tavolo astratto l’alea (la fortuna) è ridotta al minimo e il tema (o ambientazione) non è predominante.
Per chi vuole scendere in dettagli più tecnici, si può aggiungere che:
- I giochi da tavolo astratti sono spesso a informazione completa.
Significa che tutti i dati necessari per elaborare una strategia sono visibili da tutti i giocatori in qualsiasi momento; non ci sono quindi carte in mano ai giocatori o elementi di gioco nascosti. - Non hanno elementi non-deterministici.
Che non è altro che un rimarcare il fatto che la casualità o fortuna deve essere ridotta al minimo, se non del tutto assente; quindi niente tiri di dado o pesca di carte incontrollate. - Sono solitamente pensati per 2 giocatori o squadre, che si confrontano in un numero limitato di turni, alternandosi.
Per chi vuole addentrarsi nei meandri del gergo tecnico e delle meccaniche di game design, il libro da avere in collezione è senz’altro “La progettazione dei giochi da tavolo” di Walter Nuccio.
… E adesso stravolgiamola!
Ora che sappiamo cos’è un gioco da tavolo astratto, invece di vedere l’ennesima lista dei soliti giochi famosi, andiamo a cercare qualche perla che si diverte a scardinare un po’ – in un modo o nell’altro – la definizione stessa di “gioco astratto”.
1. Patchwork, di Uwe Rosenberg
Una delizia che è diventato istantaneamente un “classico moderno”, è anche uno dei giochi in questo elenco a rispettare (circa) tutte le regole della definizione di gioco astratto.
Lo scopo è quello di fare più punti componendo la migliore coperta Patchwork.
I pezzi del Patchwork – disegnati in “tetramini”, ovvero le forme geometriche rese famose da Tetris – sono disposti tutti in cerchio intorno al tabellone. Questo significa che tutte le informazioni sono visibili da entrambi i giocatori (primo punto della definizione), che sono due (terzo punto).
Comprando i pezzi con la valuta di gioco, ovvero i bottoni, si vanno a sistemare sulla propria plancia-patchwork, e in base agli elementi disegnati sul pezzo si potrà eventualmente avanzare sul tabellone (e raccogliere ulteriori bottoni bonus) o costituire una “rendita” di bottoni guadagnati a turno.
Dato che tutti i pezzi di Patchwork e il bottino dell’avversaio sono sempre visibili, è possibile formulare strategia e tattica su base matematica, azzerando il fattore fortuna (ed ecco anche il secondo punto della definizione).
Ma allora dov’è che Patchwork stravolge la definizione di giochi astratti?
Un piccolo stravolgimento è nel terzo punto: i giocatori infatti non sempre si alternano nei turni di gioco. Il giocatore di turno è infatti sempre quello più indietro sul tabellone. Questo piccolo accorgimento bilancia perfettamente il gioco, impedendo a un giocatore che ha preso un pezzo “migliore” di diventare irraggiungibile (un errore di design conosciuto come “runaway leader”).
Ma soprattutto, Patchwork mette alla prova la definizione stessa di gioco astratto, in cui “il tema non è predominante”!
Sfido chiunque, infatti, a dire che giocando a Patchwork l’attenzione sia tutta sul sistema matematico-strategico invece che sul comporre un’adorabile copertina senza buchi!
Pur non essendo ovviamente un gioco narrativo o un simulatore di cucito, in Patchwork il tema non solo si sente, ma è predominante, eccome!
Patchwork è un gioco dal successo strepitoso che ha avuto tantissime edizioni diverse. In Italia è reperibile l'”Express” – con un’area di gioco più piccola e pezzi più grandi e meno complessi – la versione carta&matita e la versione horror, perfetta per festeggiare il 31 ottobre. Non fatevi spaventare dalle edizioni non italiane: il gioco è senza testo e le regole sono le stesse del base, reperibili dal sito dell’editore.
2. Photosynthesis, di Hjalmar Hach
Photosynthesis è un gioco da tavolo astratto a tema naturalistico dai componenti semplicemente irresistibili, ovvero gli alberelli 3D.
Lo scopo è quello di fare più punti, principalmente raccogliendo dei gettoni che si ottengono completando un ciclo vitale di un albero, dal seme alla caduta, in base alla sua posizione nel bosco.
A ogni giocatore viene distribuita una plancia, un segnalino Luce, dei semi, ma soprattutto dei semplici modellini tridimensionali degli alberi del suo colore, di tre dimensioni diverse.
A parte i due alberelli piccoli iniziali, non è però possibile “piantare” subito il nostro patrimonio ligneo sulla plancia-bosco: si deve seguire l’ordine naturale delle cose, e iniziare con un seme. Serve poi un altro elemento essenziale: la luce del Sole.
Gli alberi raccoglieranno tanti “punti luce” quanto più saranno esposti al Sole, che è una vera e propria fustella che “ruota” intorno alla plancia-bosco.
Gli alberi più alti faranno ombra a quelli più piccoli – nostri o degli avversari – impedendogli di raccogliere Luce.
Con la Luce è possibile far crescere i nostri alberi. Una volta raggiunta la loro fine naturale, li rimuoveremo dal bosco, incasseremo un gettone-punto in base alla posizione che aveva l’albero nel bosco, e faremo spazio per crescere una nuova piantina.
Proprio questo sistema di punteggio porta Photosynthesis leggermente fuori dalla definizione di gioco astratto. I punti sui gettoni sono noti ma occultati (punto 1 della definizione), ed è difficile tenere a mente il loro valore.
Si può inoltre giocare a Photosynthesis fino in 4 (punto 3) – modalità in cui la ressa per accaparrarsi i posti migliori nel bosco diventerà bella intensa.
Ma soprattutto, come Patchwork, anche Photosynthesis lotta contro la definizione di gioco astratto rendendo le dinamiche del sole che gira intorno al bosco, irradia la luce e dona la vita, la cosa più piacevole, intrigante e predominante del gioco.
Disponibile anche l’interessante espansione “Under the moon“, che aggiunge regole e modalità di gioco modulari; e “Evergreen“, una sorta di riedizione che è anche una forte rivisitazione del gioco (e ai modellini 3D sostituisce dei più canonici segnalini di legno).
3. Dance of Muses, di Marco Baglioni e David Trambusti
So cosa state pensando: “ecco qua, hanno infilato nella classifica anche un gioco fatto da loro”. È vero, ma l’abbiamo fatto con ottime motivazioni.
Dance of Muses non è “nato” in Space Otter. I suoi autori, Marco e David, lo hanno inventato per partecipare a uno dei più famosi concorsi di Boardgamegeek – il sito di riferimento per gli appassionati di giochi in scatola – il “9 cards Nanogame Print&Play contest”, dove appunto si deve realizzare un gioco “stampa&gioca” composto da solo 9 carte (più eventuali altri componenti). Solo dopo aver ottenuto un buon piazzamento e tanti ottimi commenti e valutazioni, Marco e David lo hanno mostrato a Space Otter.
In Dance of Muses ogni giocatore controlla le nove Muse, figlie di Zeus e di Mnemosine (dea associata alla memoria). Le Muse curano e impersonano le varie sfaccettature dell’Arte, nella sua accezione divina, e Apollo è il loro Nume tutelare e guida.
Dopo aver messo in gioco le Muse – alcune delle quali “mascherate” sul dorso, a seconda del numero di giocatori – a turno le si spostano di una posizione, senza mai isolarle dal resto del gruppo, appunto a comporre una danza. Su ogni Musa c’è un dado posto dai giocatori – che infatti controllano i dadi ma possono spostare una qualsiasi Musa – e ogni volta che la Musa si muove, il dado aumenta di 1.
Ogni Musa – che non sia mascherata – ha anche un’abilità, che le consente di aumentare, diminuire o scambiare i valori di un dado posto su una Musa adiacente.
Non appena un qualsiasi dado raggiunge il valore di 6, la partita finisce.
Ogni giocatore controlla se alcuni tra i propri dadi abbiano raggiunto il “volere di Apollo”, riportato sulla Musa, e in quel caso portano automaticamente quel dado sul 6; dopodiché ordina tutti i propri dadi in modo crescente, e li confronta con quelli degli avversari.
Procedendo un dado per volta, i valori uguali vengono scartati, e ogni giocatore fa 1 punto per ogni dado dal valore maggiore negli altri confronti.
Come vedete, Dance of Muses è un gioco molto strategico e tattico, puramente astratto, affiancabile agli Scacchi.
Quindi perché Space Otter, la cui idea è fare giochi party o family e comunque non certo astratti, ha deciso di provare a realizzarlo? Qual è la componente di distacco dal mondo degli astratti?
Ebbene, l’azzeccatissima scelta dell’ambientazione. Le dinamiche che nascono dal gioco, infatti, ricordano con una facilità istintiva proprio quelle di un ballo di gruppo, e immaginare le Muse coinvolte in questo ballo aggiunge uno strato immaginativo stupendo, rassenerarte, oseremmo dire soave. Alla sfida intellettuale e matematica necessaria per vincere la partita, dunque, si aggiunge una piacevolezza che premia anche la semplice partecipazione, capace di ammaliare non solo gli appassionati di strategia, ma anche bambini, anziani e semplici curiosi che non hanno mai giocato altro fuori da Monopoly.
Un gioco trasversale e “strano”, quindi, perfetto per il catalogo di Space Otter.